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Piccole spose

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  Nel giorno della Prima Santa Comunione, al Mater Dei, noialtrre bambine, venivamo vestite da piccole spose. Un lungo abito di tulle bianco si allungava fino a mangiarci i piedi infilati in deliziose scarpette candide, una cuffietta, di tulle lei pure, ingentilita da un girotondo di fiorellini bianchi, incorniciava l’ovale del viso,    mentre un velo a strascico ruscellava giù per le spalle. Non vedevo l’ora di indossare il mio vestito, che era però usato, in quanto   ereditato da mia sorella più grande e quindi non comperato, fresco, da Zingone alla Maddalena, ma conservato con cura religiosa da mia madre nel bianco armadio del Guardaroba. Al mio solo avvicinarmi, pareva chiamarmi come le sirene Ulisse.  Aprivo le porte. L’odor di naftalina mi pungeva il naso e mi infastidiva lo sciacquio delle plastiche dei tanti abiti lì raccolti, affratellati dall'oblio, come in una tintoria. L o splendore del mio, da Prima Comunione, sveniva sul tavolo mentre io, con la ma...

Per Francesca perduta

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  Basilica di Santa Cecilia in onore del mio Dormi Cecilia! Bambina, nel grazioso drindel verde a fioretti bianchi con grembiuletto bianco a fioretti rossi, spingevo la mia carriola, anch'essa rossa e bianca, su e giù sotto al porticato di cotto e sogno del casolare rosa di San Giuliano dove, ragazza aveva abitato mia madre, e dove contava i suoi ultimi anni la nonna Lisetta. Portavo così a spasso la mia grande bambola di coccio che aveva un occhio aperto e uno chiuso, i capelli di stoppa e uno sbrindellato abito di tulle rosa, una bambola che per me, però, era la più bella del mondo... Più avanti, stirata nella divisa bianca e blu dell'Istituto Mater Dei, passavo le lunghe mattine d'inverno e d'estate, tra le compagne, vestite tale e quale a me, che solo all'apparenza mi somigliavano, come poi la vita doveva insegnare... Al suono della campanella della ricreazione, esplodevamo in un mazzo bianco e blu sul terrazzo di marmelle candide seduto a mezz'aria tra Piaz...

L'Anna del pane

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Ricordava, Cetta, del tempo in cui andava da sua nonna, in un paese della piana pontina dove l’odore del salso, proveniente dal mare turchino laggiù, si mescolava alla fragranza dell’erba tagliata; ricordava poco, mi diceva, ché era piccola allora e la memoria, nel tempo confonde, dimentica, oblia il bello e il brutto, facendo del passato, intero, una crema dolce da mangiar col cucchiaio nei tiepidi pomeriggi d’autunno; ricordava però una cosa, precisa, nitida, rossa la gonna e il cuore: al mattino appena sveglio, nello sbadiglio leggero della brezza marina, ricordava di quando passava, con la gran gonna che pareva un tulipano rovesciato, Annina del Pane, gridando in dialetto chissà che cosa mai. Portava, l’Annina, in equilibrio, poggiata sulla spalla destra una lunga tavola di legno, sulla quale, dormivano ballando all’ondeggiar di lei, tutti i pani di lievito del paese. Chi una croce, chi un taglio, chi faceva una treccia, chi ciambelle a nodini. Ogni pane aveva un’anima e un nome, m...

In uno scatolone, su in soffitta

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Bello è far una linda pulizia in casa, spolverare i ninnoli, passare l'olio paglierino sui vecchi mobili che vengono, alcuni, dai tempi di Noè. Bello è sentir l'odore di pulito che in danza riempie le stanze, i corridoi, gli interni, gli angoli e i piani. Ho scoperto, tanto per dire, che unendo aceto e sale grosso riesco a cancellar gli aloni bianchi sulle mattonelle e che, per riparare il geberit, basta infilar le pastiglie dell'anticalcare nel serbatoio e non occorre più restare per ore in attesa di un idraulico... Intanto, nel correr via dei giorni e delle ore, conto sulle dita quanto manca alla fine della raccolta preordini di Dormi Cecilia e mi interrogo sulla scrittura come viene intesa oggi da chi ha molti anni meno di me. Sono i ragazzi (di decenni più verdi di quanto sono io) che ho incontrato sulla piattaforma e sono giustamente pieni di sogni, ma mi chiedo se sappiano davvero che cosa significa scrivere, cioè tentar di far letteratura, trovare una propria voce ch...

Strappiamo erbacce

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Domani mattina, andrò a trovare mia mamma e mio papà al Verano. Lo faccio ogni anno e mi porto dietro i crisantemi, un vaso fiorito di corolle bianche e anche alcuni sciolti da mettere nei cilindri di metallo che fanno della tomba di famiglia  una ordinata bellezza. Prendo il 71, quando ancora il mattino è in boccio e le ombre, appena risalite sul terrazzo dell'universo, scrutandoci, attendono la sera. Ho con me anche un paio di guanti di gomma, uno scopino, uno straccetto per togliere le foglie, nettare il marmo e far ritornar nel cosmo il caos in cui è precipitato dopo più o meno un anno l'ultimo indirizzo dei miei genitori. Sull'ultima frontiera, lo so, oramai ci sono io e figli e nipoti oramai adulti e alcuni anche già genitori. Ma la memoria accesa mi riporta l'immagine di mia madre, bellissima, giovane, con il suo bel foulard di seta allacciato sotto il mento, che mi chiama da lontano "Betta, Betta!". Per lei ero Betta, per mio padre, a volte, Bettina. L...

Era tutto il contrario

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Color castagno, i tasti in sbiadita tinta avorio e ritto contro il muro, sta, oramai muto da anni, il mio vecchio pianoforte inglese. L'ebbi da mio padre che lo comprò di seconda mano dai genitori della mia amica Bea. Lei aveva già smesso di suonare e cominciai io. Al martedì pomeriggio (o era di venerdì) eccomi all'Istituto domenicano di San Sisto Vecchio che apriva il portone antico, bocca di drago, sulla passeggiata archeologica. Entravo e il vociare delle bambine in attesa di chi le riaccompagnasse a casa mi arrivava addosso come una folata d'allegria. I grembiulini bianchi in agitazione, tante gambette nude saltavano la corda, altre impegnate nel gioco della campana disegnata con un gessetto bianco nell'impiantito del cortile. Loro giocavano e io entravo da Suor Maria Grazia, rotonda, morbida come un pan di farina, mi abbracciava tutta e poi a sedere per la sonatina. Ogni anno se n'imparava una differente e si tornava così a casa, soddisfatti, con le dita elast...

Ognuna per il proprio cammino

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Bennibag fiori d'oro, si ricomincia nel laboratorio bebabou. Me ne stavo con mia sorella in un baretto trasteverino mentre fuori la corrente umana  e cosmopolita di Porta Portese comperava e vendeva nel bel sole d'ottobre quando, alzando lo sguardo, mi rivedo davanti il Mater Dei nella persona di una certa compagna dallo sguardo spagnolo che, nei miei anni verdi, non contavo tra le amiche e neppure oggi dopo tanti anni. La simpatia, per dirla tutta, la provo perché nel vederla eccomi di nuovo bambina, in divisa estiva o invernale, su e giù per le scale arrotolate sull'asse marmoreo della mia scuola  in Piazza di Spagna, tornata viva viva. Come in un sogno a occhi spalancati. Ci siamo fatte un cenno e un sorriso da lontano perché il Mater Dei non c'è più e anche se so che esiste un gruppo virtuale  via cellulare, io ho preferito non farne parte. In fondo alcune che mi erano amiche non lo sono più, la mia ex compagna di banco, potrei sentirla lei e io soltanto, un'alt...