Per Francesca perduta
Basilica di Santa Cecilia in onore del mio Dormi Cecilia!
Bambina, nel grazioso drindel verde a fioretti bianchi con grembiuletto bianco a fioretti rossi, spingevo la mia carriola, anch'essa rossa e bianca, su e giù sotto al porticato di cotto e sogno del casolare rosa di San Giuliano dove, ragazza aveva abitato mia madre, e dove contava i suoi ultimi anni la nonna Lisetta. Portavo così a spasso la mia grande bambola di coccio che aveva un occhio aperto e uno chiuso, i capelli di stoppa e uno sbrindellato abito di tulle rosa, una bambola che per me, però, era la più bella del mondo...
Più avanti, stirata nella divisa bianca e blu dell'Istituto Mater Dei, passavo le lunghe mattine d'inverno e d'estate, tra le compagne, vestite tale e quale a me, che solo all'apparenza mi somigliavano, come poi la vita doveva insegnare... Al suono della campanella della ricreazione, esplodevamo in un mazzo bianco e blu sul terrazzo di marmelle candide seduto a mezz'aria tra Piazza di Spagna e la Trinità dei Monti. Portavamo i calzettoni e non ci pesavano. A ginocchia nude, nel rigido inverno di quegli anni Settanta, io mi sentivo libera. E libera camminavo sentendo una mano invisibile sul capo che mi conduceva nei passi leggeri che mi avrebbero condotto lontano e assai in alto.
A diciannove anni, la moda entrò come locomotiva nel Far West nella mia vita. Con Francesca, la mia amica del cuore, in sella al vespino (suo) bianco e i capelli lunghi al vento (il casco allora non si portava...) andavamo a caccia di vestiti in un negozietto di Via Ottaviano che si chiamava Sem e che qualche anno più avanti doveva aprire il gemello in Via della Croce. Proprio questa mattina, rovistando negli armadi, ho ritrovato una giacca color cioccolata che avevo comperato da Sem e che, un poco spelacchiata, mi ha aperto la finestra del cuore. E ho rivisto noi due, ragazze, nella fiaccola accesa che condividevamo e ora non più...

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