Divise e uniformi
La divisa dell’Istituto Mater Dei di Piazza di Spagna si poteva comperare solamente in un bel negozio che s’apriva, luminoso di vetrate e lindura, sulla piazzetta della Maddalena, lì dove, oggi come ieri, giocano con il sole i pizzi barocchi della chiesa intitolata a Maria di Magdala. Vi s’arrivava, da Zingone (così si chiamava il punto vendita) a fine settembre, ancora carichi di sole per l’estate appena passata, a comperare la divisa estiva (gonna blu con due pieghe davanti e due di dietro e una camicetta bianca a maniche corte) e quella invernale, tutta blu che vedeva la gonna estiva baciare una blusetta in tinta, chiusa sul davanti da una fila di bottoncini bianchi che esplodevano poi sul colmo, sotto al mento, in due collettini candidi che parevano petali di fiori. Dentro, c’eravamo noi, e portavamo sul capo un disco blu chiamato il basco che sostituiva il velo muliebre appena abolito dal Vaticano Secondo e… Ma basta, Benedetta, che noia con il tuo come eravamo, guarda avanti, insomma. Infatti, infatti. E ora, se non vi dispiace, tuffandovi un rigo più in giù passo da ieri a oggi e neppure ve ne accorgerete.
Pensavo all’uniforme mia
del Mater Dei (che tanto mi semplificava la vita al mattino presto, quando con
gli occhi ancora semichiusi, la indossavo ubbidiente) mentre, ieri mattina, nel
bel fresco di una Milano ripulita dalla pioggia di fine settembre (che è sempre
uguale, nonostante i profeti di sventura ecologisti di oggi) mi venivano
incontro, a mazzi le persone frettolose e con poco sorriso che s’avviavano chi
qui chi là chi chissà dove. Le guardavo, una per una, e d’un tratto mi sono
detta: Oh Signore, ma sono loro pure in divisa!
Mi sono quindi divertita a distinguere le diverse uniformi che qui, a
grandi linee, vado a raccontare. Dunque, i giovani e giovanotti e meno giovani
che di certo lavorano nella Milano da bere, tra banche e fondi e altro
finanziario vestono tutti uguali: camicia bianca splendente, pantaloni e giacca
blu, scarpe nere. Di solito han sulle spalle uno zaino, anche lui nero. Vengono
poi i veramente nero-vestiti, maglietta nera (con su qualche disegno che piace
al diavolo e a me di certo no) e pantaloni corti, che di solito hanno la barba,
sono calvi, portano braccia e gambe macchiate da molti orridi tatuaggi e si
distinguono perché spesso hanno al guinzaglio un cane (o anche, se sono dog
sitter – e ne ho incontrato uno che ne aveva quattro…) che li comanda. I
turisti, dalle parti delle Grazie (la Chiesa dove mi reco ogni mattina in
questa mia piccola tornata milanese) hanno una sola divisa: sono vestiti di
peste, in maniera sciatta, con colori presi a caso dall’armadio e panni mal
stirati. Ma anche la loro è una divisa, a pensarci bene, altrimenti come farei
a distinguerli a colpo d’occhio?
Poi ci sono le modaiole
milanesi. Camminano a passi di titano, parlano sempre al cellulare con le loro
labbra rinforzate dal chirurgo e portano sul capo un berretto a becco di
papera, molto americano, Vabbé, è la moda, vi sento protestare. Appunto, la
moda è la divisa che impongono da non so dove e che certo non si poteva imporre
senza far fuori senza pietà mamme, zie, nonne, sarte, sarti e sartine che, ognuno a modo proprio, sapeva condire, con
forbici, ago e filo, un abito di un certo non so che (lo chic) che lo rendeva
unico, disegnando nell’ unicità la persona che lo indossava. Ma forse è proprio
l’essere diversi che non piace alla modernità oramai cucinata in salsa di
pecora...
E ora che sono andata
avanti, permettetemi di fare un salto indietro e di rispondere a tono, oggi, a
chi, allora mi prendeva in giro per la divisa. E vorrei dir loro che almeno la
divisa dell’Istituto Mater Dei era elegante e rendeva ogni bambina, riccia o
dalla lunga treccia, bionda o mora o rossa o come vuoi, un quadretto ricamato
di poesia, mentre le uniformi di oggi, a
volte, fan sembrare chi le indossa degli spaventapasseri…

Commenti
Posta un commento